Con i suoi lucidissimi novantaquattro anni è un monumento vivente della Sanità nazionale, lombarda e milanese, E non ha certo bisogno di particolari presentazioni. La piacevole e istruttiva chiacchierata su queste pagine con il Professor Silvio Garattini, oncologo, farmacologo e ricercatore, nonché presidente e fondatore dell’Istituto Mario Negri, è nata estemporaneamente, dopo la scoperta di un’amicizia comune. E cogliendo, dunque, questa bella occasione, ne è scaturito il dialogo che segue…
Professore, parliamo subito (e non potrebbe essere diversamente) della pandemia, che è uscita dalle prime pagine di giornali e telegiornali e che per questo sembra essere praticamente conclusa. Come stanno le cose, realmente?
“L’informazione sul Covid-19 è sparita dai giornali e dalle televisioni perché altri argomenti sono subentrati. Si può dire che la pandemia è finita nel senso che la contagiosità non è in aumento. Tuttavia, il virus Sars-Cov-2 continua a circolare e se circola si possono sviluppare nuove varianti, con caratteristiche diverse. Quindi la prudenza è sempre di rigore, ed è bene monitorare il virus circolante. La vera fine della pandemia richiederebbe una vaccinazione estesa anche ai Paesi a basso reddito. Se ne parla molto, ma non si realizza”.
Vaccini, ricerca e sperimentazione. Qual è la situazione, attualmente?
“Con l’attenuarsi della pandemia anche le ricerche tendono a diminuire. Si stanno ancora studiando vaccini da somministrare per via nasale perché si spera di bloccare non solo la malattia, ma anche la contagiosità. Ci sono studi su nuovi farmaci antivirali. La ricerca continua soprattutto per capire se particolari espressioni geniche siano favorevoli o sfavorevoli allo sviluppo della malattia. Mancando le importanti sovvenzioni statali, sono diminuite anche le ricerche nei laboratori dell’industria”.
Sul fronte della corretta informazione sono stati commessi molti errori?
“Diciamo che l’informazione non è stato il piatto forte della pandemia. Sentire tutti i giorni le cifre dei morti senza sapere bene se fossero veramente dipendenti dal virus creava più ansia e paura che, appunto, informazione. Gli annunci spesso contraddittori non erano sostenuti da adeguate spiegazioni. I cosiddetti “virologi” si sono trovati sul palcoscenico senza adeguata preparazione. I mass media, anziché essere d’aiuto, hanno spesso accentuato e drammatizzato differenze di opinione. Gli “anti-vax” hanno goduto di un’eccessiva attenzione. Certamente dunque, si poteva far meglio, anche se con il senno di poi è facile dirlo”…
Come sono stati finora, secondo Lei, i comportamenti complessivi degli italiani (e in particolar modo dei milanesi e dei lombardi)?
“In generale sono stati soddisfacenti. Il periodo più difficile della clausura è stato rispettato. Le vaccinazioni sono avvenute con ordine, anche se la quarta e la quinta hanno avuto poca partecipazione, in vista della diminuzione dei contagi. Oggi si dovrebbe essere più prudenti quando ci si trova in mezzo a molta gente”.
Il fatto di essere un Paese con una popolazione anziana e (diciamo così) “particolarmente aperto” quanto ha influito sulla penetrazione e la diffusione del virus?
“La popolazione anziana, con la sua fragilità, ha influito molto di più sulla gravità della malattia e sulla mortalità, piuttosto che sulla contagiosità. Ancora oggi non sappiamo bene quanti sono morti per il virus e quanti con il virus. Per non dire dei morti senza virus, ma dovuti al fatto che l’attenzione per questo non ha permesso di curare altre malattie. La densità della popolazione sul territorio e la consuetudine degli italiani agli abbracci sono stati altri fattori di rischio”.
A proposito di anziani: la sensazione (almeno la mia) è che in quest’ultima fase si sia scelto di sacrificare i più fragili per tornare definitivamente a vivere. Che ne pensa?
“Direi di no. Credo che sia stato fatto il possibile, considerando che si trattava di un virus conosciuto. Si sarebbe potuto far meglio se il Servizio Sanitario non fosse stato trascurato da molti anni”…
Come escono Milano e la Lombardia da questa brutta storia? È stato il male minore, che a prenderla di faccia per prima sia stata, appunto, la nostra regione, considerata da sempre un’eccellenza in questo ambito, o ci sono responsabilità più gravi, a prescindere dalle presunte carenze degli altri sistemi sanitari regionali?
“E’ molto difficile dare una risposta, tenuto conto di tutti i fattori considerati. Le responsabilità verranno stabilite dai tribunali, che per il momento meriterebbero più silenzio da parte di tutti”.
Ad un certo punto, della Cina non si è quasi più parlato, come se tutto questo non fosse partito da lì. Secondo Lei perché?
“La Cina è una dittatura e perciò non è affidabile nelle sue informazioni. E anche la Commissione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità non ha avuto molto successo”…
In conclusione, Professore: che cosa l’Italia e gli italiani non imparano mai, dal punto di vista della prevenzione?
“Purtroppo non siamo capaci di riflettere con calma, mentre sono spesso eccessivi gli scontri politici. Il Servizio Sanitario Nazionale è un bene inestimabile, è stato fondamentale nella situazione di emergenza, ma come dicevo prima avrebbe potuto far meglio, se non fossero diminuiti personale e risorse nel corso degli anni precedenti. Dovremmo anzitutto sviluppare un piano per l’emergenza. Così come abbiamo corazzate, missili e carri armati per rispondere ad eventuali attacchi militari esterni, dovremmo avere edifici, letti, ossigeno, mascherine e quant’altro per rispondere ad eventuali pandemie da virus o batteri. Dovremmo inoltre considerare come risolvere gli aspetti deboli del SSN. È inaccettabile la serie delle lunghe liste d’attesa, con la possibilità di evitarle pagando con l’intramoenia. È una diseguaglianza contraria ai diritti sanciti dalla nostra Costituzione. Occorre migliorare la situazione del territorio, largamente insufficiente durante la pandemia. Occorre realizzare le Case della Comunità, assumendo i medici di Medicina Generale, in modo da avere ambulatori aperti otto ore al giorno per tutta la settimana e per la possibilità di erogare servizi, in modo da rappresentare un filtro per i Pronto Soccorso e per i ricoveri ospedalieri. Infine, va tenuta presente la crescente carenza di medici e infermieri, che va risolta anche aumentando gli stipendi, fra i più bassi d’Europa. Deve essere aumentato il bilancio del Servizio Sanitario Nazionale, per poter svolgere più informazione indipendente e più ricerca”.
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)
(Immagini tratte dal web)