Quando da milanese, penso a Venezia, mi vengono subito in mente due cose: la storia e mio nonno.
Nella storia, Venezia fu una grande rivale di Milano e in epoca rinascimentale la rivalità esplose in una serie di guerre fra il Ducato di Milano e la Serenissima. A Introbio, sulle montagne sopra Lecco, c’è ancora il cippo che delimitava il confine fra i due stati e non era un confine aperto, stile Schengen, ma una sorta di “check point Charlie” ante litteram.
Veniamo a mio nonno: la gita a Venezia era un obbligo formativo per i suoi figli, che sarebbero stati poi mio zio e mio padre. Perché Venezia, dovevamo ammettere noi milanesi, era di una bellezza impareggiabile.
Tuttavia, la visita a Venezia era un’impresa che andava organizzata meticolosamente, con vero spirito imprenditoriale milanese.
La gita a Venezia era una via di mezzo fra la classica escursione turistica e un raid di bombardamento a bassa quota di un Tornado in territorio nemico.
Lo slogan di mio nonno era: “a Venezia non si comprano nemmeno i cerini”.
Chiara allusione ai prezzi esorbitanti e “turistici”, già allora, di una delle città più belle del mondo.
Quindi, la gita a Venezia andava fatta in giornata. Mio nonno decideva che la partenza sarebbe avvenuta a ora antelucana, per arrivare a parcheggiare presto la sua amata Renault R 12 in piazzale Roma e sfruttare la giornata.
Pranzo? Rigorosamente al sacco, sempre per la questione dei cerini. Panini accuratamente preparati da mia nonna, avvolti uno per uno in tovaglioli di carta. Thermos col caffè, lattine di aranciata e coca cola. Una lattina di birra per mio nonno, che, all’ora di pranzo, sarebbe risultata irrimediabilmente calda e schiumosa, ma tant’è.
La gita a Venezia si sarebbe risolta in poche essenziali tappe: contemplazione del Canal Grande e del Ponte di Rialto, foto ricordo in Piazza San Marco e via verso Milano, in tempo per cenare a casa.
Una Grande Bellezza insomma, per citare Paolo Sorrentino, ma da prendere in piccole dosi, e, soprattutto, senza prosciugare il portafogli.
Perché va bene San Marco, va bene i tramezzini, lo spritz, l’Harry’s Bar, va bene Thomas Mann ed Ernest Hemingway, ma, come diceva mio nonno: “Ué, mi sun minga la Banca d’Italia”.
Marco Lombardi (giornalista e scrittore)