Il tempo e la memoria. Entità dal legame indissolubile, che Pio Tarantini, fotografo salentino classe 1950 trapiantato a Milano agli inizi degli anni Settanta, continua a indagare con eleganza e pazienza in una ricerca che va oltre il valore documentario della fotografia. “Il tempo ritrovato”, la mostra dell’artista pugliese in programma dal 22 settembre al 30 ottobre prossimi nel nuovo spazio espositivo Lab 1930 di via Mantova al civico 21, dedicato alla fotografia d’autore e diretto da Elena Carotti, presenta dieci opere: otto fotografiche, sei dalla serie “Imago”, caratterizzate dalla tecnica del mosso, più “Cassettiera#Lettere” e “Cassettiera#Pellicole”, proposte insieme alle due cassettiere originali in legno e plexiglass, in un gioco di rimandi tra bidimensionalità e tridimensionalità. Le fotografie della serie Imago presenti nell’esposizione riassumono la riflessione sul concetto di “tempo dilatato” (fondamentale nel percorso di ricerca fotografica dell’autore) attraverso la tecnica del mosso: immagini dal grande impatto poetico, dove la figura umana, sempre femminile, quasi evanescente, fluttua occupando l’intero spazio scenico, sia quando si muove nell’interno di una casa sia quando il dialogo è direttamente con la natura. Narrazioni immaginarie, dove i corpi non confliggono con le quinte del racconto, ma rimangono sospesi in totale armonia, come se danzassero. Il racconto dell’artista intorno alla memoria si fa incalzante, il tempo della storia reale non corrisponde con il tempo della coscienza di ognuno di noi. Le figure femminili si muovono con estrema eleganza e il tempo della memoria è sottratto alle determinazioni spazio-temporali, dilatandosi oltre i margini della fotografia stessa.
La riflessione artistica di Tarantini sul concetto di memoria e di ricordo si completa con le due opere “Cassettiera#Lettere” e “Cassettiera#Pellicole”, appunto, dove due vecchi cassetti da tipografia diventano contenitori della memoria. Nel primo gli spazi dove erano riposti i caratteri in piombo contengono frammenti di vecchie buste e lettere di corrispondenza privata, mentre nel secondo sono custoditi frammenti di pellicole a passo ridotto di film personali o famosi. Con questa doppia opera è come se l’artista volesse ricordare che il percorso iniziato con le fotografie della serie “Imago” trova il suo naturale completamento nella parola scritta su carta e nella pellicola cinematografica. La fisicità delle due cassettiere (i fogli ingialliti, stropicciati, le buste delle lettere coi francobolli da 50 lire, posta semplice o espresso, Europa o Italia, l’inchiostro, i frammenti di pellicola, le foto di Charlot, Stan Laurel e Oliver Hardy, il tutto incasellato ordinatamente, come se fosse possibile riavvolgere il passato, imprigionare il flusso dei ricordi che scandiscono i tempi delle narrazioni, pubbliche e private) rimanda proprio al bisogno dell’autore di trovare un “tempo dilatato”, capace di estendersi tra il passato e il futuro.
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