Passeggiando per la Milano di oggi, fra vie dove si succedono gli show room dedicati allo shopping di lusso, oppure sbirciando uno dei tanti quieti e signorili cortili delle case milanesi, o ancora in qualche desolata periferia, riesce difficile pensare che, una volta, Milano era una città tumultuosa, rivendicativa, amante della sua libertà, a tratti anarchica. In una parola, ribelle.
Milano fu capitale dell’Impero Romano d’Occidente e, già allora, passò alla storia per un potente, autorevole, sonoro NO. Era il no che il vescovo di Milano, Ambrogio, nativo di Treviri, in Germania, ma “adottato” dalla città lombarda, non esitò a opporre a nientepopodimeno che Teodosio, l’imperatore.
I rapporti fra il vescovo e l’imperatore erano in realtà buoni, ma, alla notizia delle atrocità compiute dai soldati romani per soffocare una ribellione a Tessalonica, il vescovo milanese non esitò a impedire all’imperatore l’accesso a una basilica, senza prima essersi pentito.
Un no diventato storico, perché, come potete capire, dire di no a un imperatore romano non era cosa di tutti i giorni e fu un milanese a riuscirci.
Un altro imperatore
Passano i secoli, e passano gli imperatori e, facendo un balzo di otto secoli, ci troviamo alla fine del XII secolo. Milano è un ricco e potente comune, che desidera affermare la sua autonomia, anche, se necessario, contro l’imperatore del Sacro Romano Impero, Federico Barbarossa.
Federico scenderà più volte in Italia, col suo esercito, per punire la riottosa e ribelle Milano, che, nel 1162 finirà assediata e saccheggiata da un esercito formato dai comuni alleati dell’imperatore tedesco e invidiosi del troppo potere acquistato dal comune meneghino. O forse, chissà, già allora era nata la famosa “bausceria” milanese, che tanto indispone le città limitrofe.
Ma Milano non abbasserà la testa, anzi, nel 1176 affronterà una volta per tutte Federico Barbarossa e lo sconfiggerà a Legnano, in una battaglia che vede le truppe imperiali contrapposte a un esercito formato dai milanesi e da alcuni comuni suoi alleati.
Manzoni ben ci ricorda, nel suo capolavoro, come anche gli anni della dominazione spagnola siano stati abbastanza turbolenti, con i milanesi protagonisti dell’assalto ai forni, durante la carestia del 1628-29.
Altro secolo, ma sempre contro l’impero
Ma per vedere la ribellione seria, quella vera, dobbiamo aspettare la cosiddetta Primavera dei Popoli: il 1848, con la sua catena di rivoluzioni e insurrezioni che infiammarono tutto il Vecchio Continente. E chi furono fra i primi a ribellarsi agli austriaci? I milanesi naturalmente.
Milanesi che erano insofferenti alla burocrazia, alle tasse, al paternalismo austriaci. Milanesi che vedevano di malocchio i soldati croati e tirolesi che pattugliavano la città. La politica era il pretesto per sfogare la propria antipatia verso questi stranieri; spesso scoppiavano aggressioni, risse che finivano sovente a coltellate, se non peggio.
La tensione aumentava sempre di più, fino al punto in cui i milanesi si rifiutarono di giocare al lotto e non fumare, per colpire l’erario austriaco (piccola curiosità, anche oggi, in Catalogna, si è deciso di non giocare al lotto, per protesta contro il governo castigliano. La storia si ripete…).
Come reazione, i soldati austriaci iniziano a passeggiare per Milano, fumando ostentatamente dei grossi sigari, evidentemente per tentare i milanesi. Niente da fare. Scoppiano altri tafferugli, sono ancora pugni e coltellate contro le baionette austriache, fino al 18 marzo 1848, quando compaiono le armi da fuoco nelle mani dei milanesi. Vengono erette barricate in tutta la città, e i milanesi combattono per cinque lunghi giorni.
Nel frattempo, Carlo Alberto di Savoia varca il Ticino e, dichiarando guerra all’Austria, entra con l’esercito piemontese in Lombardia.
Il maresciallo Radetzky, governatore austriaco, per evitare di essere preso fra due fuochi, opta per la ritirata. Lascia Milano agli insorti e ripiega verso le fortezze austriache del quadrilatero.
L’illusione di libertà dei milanesi durerà poco. Carlo Alberto verrà sconfitto l’anno successivo e gli austriaci riconquisteranno Milano. SI dovrà aspettare il 1860 per avere Milano italiana.
Anche nell’Italia unificata, Milano rimane turbolenta.
È a Milano che nel 1891 Filippo Turati anticipa la futura e imminente creazione del Partito Socialista Italiano, ma è nel maggio 1898 che la città torna a ribellarsi, in modo violento.
Sono i moti di Milano, che vedono protagonisti gli operai e i ceti umili, che reclamano condizioni lavorative più umane e cibo più a buon mercato.
Purtroppo, la reazione è durissima. Il generale Bava Beccaris, comandante del III Corpo d’Armata di stanza a Milano, ordina di sparare sulla folla, causando 81 morti e centinaia di feriti.
Il re Umberto I avrà anche l’improntitudine di conferire un’onorificenza al valore a Bava Beccaris, come se avesse difeso la città dal nemico, quando invece aveva sparato sui suoi cittadini.
Ma questo ulteriore scatto di ribellione dei milanesi causerà, due anni dopo, proprio la morte del re d’Italia.
Dall’altra parte dell’Atlantico, un decoratore comasco emigrato in America, di idee anarchiche, Gaetano Bresci, resterà molto colpito e sdegnato dalla violenza della repressione a Milano.
Bresci decide allora, per prima cosa, di comprare un revolver. Cosa semplice da fare in America. Comincia ad andare in campagna a esercitarsi con la sua arma, poi, nel 1900, riprende il piroscafo che l’aveva portato in America e una mattina di estate, il 29 luglio, si presenta a Monza.
Bresci si ferma in una trattoria, pranza ed è molto cordiale e loquace, al punto da pagare il conto a un altro cliente con cui aveva scambiato due chiacchere durante il pranzo.
Si alza, saluta e si avvia verso la Villa Reale. Lì aspetta. Il Re arriva in serata, dopo aver assistito a un saggio ginnico. Bresci si avvicina alla carrozza, estrae il revolver. Uno, due, tre, forse quatto colpi raggiungono Umberto I che morirà subito dopo.
Come dichiarerà lo stesso Bresci, che morirà l’anno dopo in carcere, a Ventotene: “Ho attentato al Capo dello Stato perché è responsabile di tutte le vittime pallide e sanguinanti del sistema che lui rappresenta e fa difendere. Concepii tale disegnamento dopo le sanguinose repressioni avvenute in Sicilia in seguito agli stati d’assedio emanati per decreto reale. E dopo avvenute le altre repressioni del ‘98 ancora più numerose e più barbare, sempre in seguito agli stati d’assedio emanati con decreto reale”.
Una ribellione anche artistica
Intanto, Milano era diventata capitale industriale ed economica italiana, e diventerà teatro anche di altre ribellioni.
Questa volta campo culturale, artistico. Sono gli anni degli scapigliati, dei bohemienne italiani; sono gli anni del futurismo di Marinetti e di Boccioni, con tutta la sua carica di sfida verso il passato e la tradizione.
Si affermano le grandi firme sui quotidiani, tutto ciò che è cultura e innovazione, se non nasce a Milano, da Milano deve comunque passare.
E, forse, se pensiamo a quell’epoca, ci è più facile capire come, oggi, la nostra città non goda di ottima salute, almeno a livello culturale.
Lo spirito ribelle sembra essersi stemperato nell’attivismo un po’ fine a sé stesso degli “eventi” e la città, da troppo tempo, sembra un po’ subire le politiche nazionali, piuttosto che contribuire autorevolmente a determinarle.
Un aspetto, questo, che già cinque anni faceva notare uno che la città la conosce bene, Marco Vitale, in questo articolo: https://www.reset.it/blog/il-silenzio-di-milano
Marco Lombardi (giornalista e scrittore)