Oggi è un musicista maturo e affermato, che può vantare esperienze importanti e collaborazioni illustri. Il suo percorso artistico, però, è avvenuto, come quasi sempre accade, gradatamente, partendo dalla cantina nell’Oratorio della Chiesa di San Vito, al Giambellino, attraverso la gavetta nei pub, passando dalle piazze e dai teatri, fino ad arrivare ai primi programmi televisivi e ad entrare, a metà degli anni ’90, nella Big Band di Demo Morselli, con la quale ha preso parte a diverse trasmissioni, dal “Maurizio Costanzo Show” a due edizioni del “Disco per l’Estate”, con Fiorello e Renato Zero. Rino Di Pace, milanese, 56 anni il prossimo 31 gennaio, ha molto da raccontare, professionalmente parlando. “Eh sì, caro Ermanno, il tempo passa e mi trovo scavare spesso nei ricordi, che sono tutto molto belli”, sospira Rino. “Molte mie esperienze sono state di rilievo. Penso a programmi come “La Corrida”, o al tour estivo con i “Dirotta su Cuba”, o ancora alla collaborazione con Andrea Bocelli, in occasione degli eventi della Andrea Bocelli Foundation”. Il periodo di isolamento forzato, causato dall’emergenza sanitaria che purtroppo stiamo ancora vivendo, è stato per tutti motivo di bilanci e riflessioni. E proprio in quel periodo nasce l’idea del cd “About Us” (2021, Groove it), una raccolta di brani composti e arrangiati dall’artista milanese e realizzati con la collaborazione di grandi musicisti, che lo hanno accompagnato lungo il suo cammino nel mondo dello spettacolo e nella sua crescita personale. “L’idea parte da un impulso di ottimismo e dalla voglia di concretizzare il tempo a disposizione”, racconta Di Pace. “Ho pensato che ripartire da me stesso e dalla mia musica fosse la cosa giusta da fare. Ho selezionato una serie di brani, tra i tanti prodotti negli ultimi quindici anni, più tre nuovi, che potessero rappresentarmi sotto ogni aspetto, genere, compositivo e strumentale. Poi li ho “ristrutturati”, diciamo così, modificando un po’ gli arrangiamenti, per rendere il progetto più uniforme”.
Abbiamo detto che hai maturato grandissime esperienze, in campo artistico e musicale, partendo dalla tua Milano per poi affermarti in tutta Italia. Quali sono i ricordi più belli e quelli che ti hanno formato maggiormente?
“Penso che tutte le esperienze fatte siano state diversamente belle e diversamente formative. In ogni caso, il periodo che ho vissuto più intensamente e che ha avuto l’impatto maggiore è quello con Demo Morselli, dal 1995 circa al 2001. Il grande carico di lavoro di quegli anni, unito alle ore di studio, mi ha dato una solida formazione a 360 gradi, che mi ha spianato la strada verso le esperienze successive, alle quali hai già accennato”.
Quali sono i batteristi che hanno rappresentato per te un vero e proprio modello da seguire? A parte Tullio de Piscopo, ovviamente, con il quale hai cominciato a suonare da adolescente e poi come allievo vero e proprio…
“Te li elenco in un ordine più o meno cronologico: Billy Cobham, Steve Gadd, Peter Erskine, Omar Hakim, Dave Weckl, William Kennedy. Questi sono quelli da cui ho assorbito di più, tanti altri ne ho seguiti e studiati, ma chiaramente, man mano che si cresce e si consolida il proprio drumming, l’influenza viene sempre meno”.
Torniamo a casa, adesso, nella nostra Milano. Com’era e com’è ora, secondo te? Quali cambiamenti sono stati positivi e quali, invece, ti fanno magari un po’ rimpiangere i tempi che hai vissuto, anche musicalmente parlando?
“Il discorso è molto ampio, diciamo che ho avuto la fortuna di vivere pienamente il periodo da fine anni ’70, quando ho praticamente sottratto la mia prima batteria Hollywood a uno zio, cominciando a muovere i primi passi, fino a inizio 2000, in cui il settore musicale ha cominciato a soffrire. Sono stati anni ricchi di stimoli, c’era spazio un po’ per tutti quelli che volevano fare della musica la loro professione e quindi voglia di creare progetti e proporli. Eravamo tutti affamati di musica e Milano ci sfamava. Ricordo con nostalgia il SIM, la famosa fiera degli strumenti musicali; un appuntamento che si aspettava per mesi e credimi, era come entrare in una favola. Dopo il 2000, benché mi ritenga comunque uno dei più fortunati, ho cominciato a fare più fatica, la crisi di livello mondiale ha messo a dura prova molti di noi e ci sono voluti parecchi anni per una parziale ripresa. Attualmente lo scenario è quasi totalmente multimediale e ritengo che se usato nel giusto modo abbia forti potenzialità, più che negli anni passati. Certo, manca quel fermento creato dai tanti locali che piano piano sono venuti a mancare, anche se grazie a un pugno di gestori tenaci, l’aspetto “live” riesce in qualche modo a sopravvivere”.
Guardandoti intorno, vedi o intravedi nuovi fenomeni artistici all’orizzonte? E ci sono, a tuo parere, realtà milanesi giovani, ma già affermate?
“Ahimè, non sono un attento osservatore di nuove realtà, non tanto di più di quello che riesca a fare attraverso i social network. Ad oggi non noto niente di particolarmente eclatante, è molto probabile che ci siano, ma per il momento rimangono un po’ nascoste. Vedremo quando si riprenderà a fare musica sul serio”.
Per concludere, Rino: è davvero già ripartita Milano, dal punto di vista artistico (e non solo), oppure la strada per uscire da questo periodo così difficile e delicato è ancora lunga?
“Milano avrebbe tutti i presupposti per ripartire alla grande. Alcuni settori si sono ripresi molto bene, ma quello musicale e artistico in generale dovrà aspettare, secondo me, l’uscita quasi totale dalla pandemia. Solo questo darà lo slancio giusto e una maggiore fiducia agli investitori del settore”.
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)
ASCOLTA “ABOUT US”
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