È veneziana d’origine, ma vive e lavora a Milano da tempo. Ha lavorato in teatro con registi del calibro di Luca Ronconi, Antonio Calenda, Gabriele Lavia e Pierpaolo Sepe, solo per citarne alcuni. Nel cinema, invece, è stata diretta, fra gli altri, da Marco Bellocchio e Peter Geenaway. In televisione, infine, con Marco Turco, Riccardo Donna e Stefano Sollima. Insomma, Erika Urban, una laurea in Scienze Politiche e un diploma alla Scuola del Teatro Stabile di Torino, è un’attrice poliedrica e una donna intensa, ricca di capacità artistiche riconosciute e apprezzate e di qualità umane non comuni. Queste ultime, insieme a una spiccata sensibilità, emergono con grande chiarezza nell’intervista che segue e che con grande cortesia e disponibilità ci ha concesso, nonostante i suoi numerosi impegni professionali…
Cara Erika, sei protagonista dello spettacolo teatrale “Ultima notte Mia. Mia Martini. Una vita”, scritto da Aldo Nove per la regia di Michele De Vita Conti. Ce ne vuoi parlare?
“Sono particolarmente affezionata a questo spettacolo. Lo porto in scena dal 2013, anno in cui Aldo e Michele si conobbero a Berlino. Aldo stava finendo di scrivere il suo libro “Mi chiamo…,” edito da Skira. Decisero di realizzarne una versione teatrale e Michele, mio amico di lunga data, chiamò me come interprete. Riteneva, tra l’altro, che io assomigliassi a Mia Martini. Una somiglianza che ho scoperto anche io, man mano che approfondivo il personaggio. E questo mi ha molto emozionata”.
Ecco: quali emozioni e sentimenti ti suscita, appunto, interpretare un’artista meravigliosa come Mia Martini?
“È uno spettacolo che mette in moto tante e diverse emozioni, da quelle della sua infanzia fino alla sua ultima notte, come dice il titolo. L’entusiasmo per la scoperta della sua passione per la musica, l’arrivo a Milano, l’esperienza del successo e della ricchezza, fino allo scontro con l’invidia e con le dicerie che hanno distrutto la sua vita. Come attrice, per me è una grande occasione non solo di raccontare una storia bellissima, ma anche di poter trasmettere un messaggio di civiltà. Bisogna eliminare la superstizione. E’ assurdo pensare che davvero qualcuno possa portare sfortuna. È una credenza medievale purtroppo ancora presente in alcuni ambienti, soprattutto in quello artistico”.
Affrontiamo adesso il tema dell’Emergenza Covid, che stiamo purtroppo ancora vivendo. Da cittadina e donna di cultura quale sei, che idea ti sei fatta, a questo punto? Quali sviluppi ci aspettano?
“Crescendo sono diventata più ottimista, cerco di trovare gli aspetti migliori delle situazioni difficili. L’emergenza per alcuni versi ha accelerato dei processi positivi, basta pensare alla conoscenza delle nuove tecnologie. Io ho vissuto sulla mia pelle il virus, per fortuna in maniera non troppo pesante. Ho approfittato della condizione di isolamento per riflettere su me stessa e ho apprezzato il tempo più lento. Credo che a fronte dei molti aspetti negativi la pandemia abbia avuto un effetto costruttivo, dal punto di vista etico. Tutto era fermo e per chi ha voluto c’è stata un’occasione preziosa per ascoltare se stesso”.
Parliamo della progressione delle chiusure e delle aperture dei teatri e dei luoghi di intrattenimento culturale. E’ giusto, secondo te, quello che è avvenuto e che sta avvenendo nel tuo mondo?
“Dopo un anno, credo che forse si sarebbero potute adottare delle misure alternative alla chiusura totale dei luoghi di cultura. Ma il passato è passato e dobbiamo pensare a ciò che potrà succedere da oggi in avanti. Credo sia necessario rivedere alcune norme attuali. In Spagna è stato fatto un esperimento: migliaia di spettatori, sottoposti al tampone e con le mascherine, hanno assistito a un concerto. Non c’era nessun distanziamento tra le persone, eppure nessuno si è ammalato. Questo è un esempio di come sia possibile aprire i teatri a pieno regime, senza diminuirne la capienza. I teatri più grandi che ricevono finanziamenti pubblici hanno qualche possibilità di andare avanti, ma quelli piccoli, con i posti a sedere ridotti, non riusciranno ad affrontare le spese e rischiano di morire”.
Com’è cambiato il tuo lavoro e cosa stai facendo per superare gli ostacoli che a torto o a ragione stai incontrando sul tuo percorso professionale?
“Il mio lavoro si sta spostando on line. Infatti, “Ultima notte Mia. Mia Martini. Una vita” sarà disponibile in streaming. Oltre a questo, sto cercando di sfruttare i tempi di inattività per seminare, cercare altre opportunità e immaginare nuovi progetti, cose che prima non avevo il tempo di fare. Ho anche esplorato lati diversi della mia professione, ho messo alla prova altre mie capacità, cimentandomi con l’aspetto organizzativo. Questo è stato per me interessante e arricchente”.
Non pensi che come spesso accade, paradossalmente, in situazioni come queste si creino nuove opportunità in tutti gli ambiti, dal sociale al culturale e a quello lavorativo e professionale?
“Sono d’accordo. Bisogna sempre cercare di trasformare le situazioni difficili in qualcosa di positivo. I momenti duri ci danno l’occasione di migliorare. Se fosse sempre tutto facile non ci sarebbe un’elevazione del nostro animo e un accrescimento delle nostre conoscenze”.
In conclusione, Erika: come vedi il futuro più immediato del tuo settore, qui a Milano?
“Nella nostra città, ma anche in tutta Italia, c’è stato un enorme movimento di coscienza nel nostro settore. Colleghi e colleghe hanno lavorato fianco a fianco per migliorare la situazione, farsi sentire, avere diritti sindacali come gli altri lavoratori e lavoratrici. Questo ha permesso di accendere finalmente una luce su di noi e ora non siamo più invisibili. Questo mi dà grande fiducia nel futuro”…
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)