Probabilmente oggi, nel 2020, in una Milano ferita e con un tessuto sociale schiacciato sempre più verso il basso, il primo a non credere alla sua storia e alle tradizioni della sua famiglia sarebbe lui, se non le avesse vissute e se non le vivesse ancora adesso in prima persona. Eppure Ezra Foscari rappresenta per certi versi un anello di congiunzione tra l’affascinante passato italiano, lombardo e milanese e un presente nazionale, regionale e cittadino decisamente meno accattivante. Parliamo però, a scanso di equivoci, di un uomo concreto, un padre di famiglia dolce e affettuoso, nonché di un servitore fedele del nostro Stato, che se anche da poco tempo mi onora della sua amicizia mi sembra di conoscere da molti anni proprio per la sua simpatia e umanità. Due anni fa, questo signore di 49 anni nato a Zagabria, sposato e papà di due bambine, è stato il protagonista della “Intronizzazione del Conte Ezra Annibale Theo Paterniano Foscari Widmann Rezzonico a Principe Porfirogenito, legittimo Capo della Augusta materna Casa Imperiale Giustinianea Heracliana Tomassini Paternò Leopardi di Costantinopoli ed erede al Trono dell’Impero Romano d’Oriente”. Detta così, come ho anticipato poche righe sopra, si stenta a crederlo, ma è proprio lui, con i suoi racconti, a rendere la storia veritiera e digeribile, grazie alla sua sobrietà e a una fortissima autoironia. “Sì, mi rendo conto che sei cognomi anagrafici (tre paterni e tre materni) sono tanti e stimolano battute sullo stile fantozziano della Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, ma questa è la pura realtà”, esordisce sorridendo il Conte. “Sono ovviamente legato alla storia e alle tradizioni della mia famiglia. Mi soffermo spesso a ragionare e a dibattere sulla presenza romana e bizantina a Milano e sul concetto di nobiltà tradizionale. Mia madre, Evy Tomassini, era marchigiana, mentre mio padre Marco era veneziano. Sono nato a Zagabria perché lui si trovava in Jugoslavia per lavoro e mia madre lo aveva raggiunto lì. Ho sempre abitato a Milano, nella zona di Porta Vittoria. I miei si sono separati nel 1978 e l’ultima volta che ho visto mio padre è stato nel 1984. Sono stato cresciuto da mia madre, quindi, che con enormi sacrifici ha aperto un negozio di antiquariato nei pressi di Piazza Cinque Giornate, che ha portato avanti per 25 anni e dove ho lavorato anch’io, dandole una mano. Ho portato avanti i miei studi fino al diploma e a qualche esame universitario di Storia, ma poi ho vinto un concorso per entrare in Polizia e ho iniziato orgogliosamente il mio percorso nel Corpo. In seguito, ho conseguito il Dottorato Honoris Causa in Lettere con indirizzo Storico presso la Western Orthodox University di Londra. Sai, Ermanno caro, ho sempre desiderato indossare la divisa da poliziotto e finora ho ricevuto numerosi riconoscimenti e attestati di servizio. La mia carriera è pubblica e sotto gli occhi di tutti. Ma come puoi constatare tu stesso, sono una persona semplice, senza grilli per la testa e credo con una giusta dose di umiltà”.
“Parliamo (e non potrebbe essere diversamente) dell’Emergenza Coronavirus. Come vedi la situazione milanese? Che idea ti sei fatto, a questo punto, riguardo non solo al fenomeno in generale, ma anche alla reazione di Milano e della Lombardia?
“La prima fase è stata difficilissima per tutti. Abbiamo vissuto una situazione surreale. Io ho continuato ad andare al lavoro e le strade deserte, la tangenziale vuota, i locali chiusi e tutto il resto faceva sembrare Milano una città morta. Poi la situazione è andata man mano a regolarizzarsi, ma adesso siamo ripiombati nell’incertezza più assoluta. Questa estate ho notato molte situazioni al limite della sicurezza sanitaria, sia per le vicinanze delle persone (e quindi vari assembramenti nei locali notturni) che per il modo spensierato dell’uso della mascherina”.
Ecco, a proposito dei comportamenti complessivi degli italiani (e in particolare dei milanesi e dei lombardi). Come sono stati finora secondo te?
“I milanesi sono bravi a rispettare le regole, ti assicuro che solo pochi non lo fanno, come i delinquenti che già normalmente non rispettano le leggi e molti stranieri che sembra facciano finta di non capire la gravità della situazione. Purtroppo devo dire che anche diversi anziani escono ancora non curanti del pericolo di essere infettati”.
Entriamo nel merito dei provvedimenti presi dalle autorità nazionali, regionali e cittadine. Da cittadino e poliziotto che opinione hai al riguardo? E sul fronte della corretta informazione sono stati commessi molti errori?
“Non è sicuramente facile governare un Paese in un momento di crisi mondiale a causa di un virus di cui non si capisce nulla, o quasi. Nessuno al mondo era preparato a questo. Certamente lo Stato doveva essere più vicino ai cittadini con maggiori aiuti economici e agevolazioni fiscali, invece gli italiani si sono arrangiati da soli. E’ tato apprezzabile che molte aziende abbiano convertito la loro attività per produrre mascherine, che soprattutto all’inizio di questa vicenda erano introvabili e costosissime. Per farti capire l’assurdità della situazione, tramite l’Associazione Archivio Storico Tomassini, che ho costituito con mia moglie ed alcuni amici, abbiamo comprato dalla Cina migliaia di mascherine monouso, ma sono state bloccate alla Dogana. Peccato che dovessero essere donate ad alcune RSA, alla Polizia Ferroviaria ed ad alcune Chiese Ortodosse, sempre nel Milanese. Ovviamente sono stati buttati molti soldi, ci sono stati parecchi disagi per chi non le ha ricevute e solo successivamente siamo riusciti a far realizzare delle mascherine lavabili e riutilizzabili, regalate a loro volta, ma ad un costo più alto.
Abbiamo fatto una raccolta fondi proprio per sovvenzionare queste donazioni di materiali, tra cui gel e tanto altro, ed è andata abbastanza bene, collaborando con la mia associazione (no profit) insieme ad altre associazioni proprio in questo senso, incontrandoci nei fine settimana ed aiutando le persone con la consegna di sacchetti alimentari. Insomma, dei provvedimenti governativi non posso parlare più di tanto, ma certo è che sono stati fatti troppi decreti e cambiamenti che né il cittadino italiano né tantomeno le Forze dell’Ordine riuscivano a seguirli e a capirci qualcosa, vedi le autocertificazioni modificate di continuo. Avrei cercato forse di utilizzare una terminologia meno aggressiva; con “distanziamento sociale”, per esempio, mi è sembrato (e mi sembra ancora) di tornare ai tempi delle distinzioni sociali sui treni e aerei. Avrei preferito un linguaggio meno classista, come “distanziamento di sicurezza” o “distanziamento preventivo”, che a mio modo di vedere rende di più l’idea del pericolo”.
Che ne pensi della App per il tracciamento dei contatti, tenendo conto che con l’utilizzo quotidiano della tecnologia siamo già tutti tracciati?
“Sarebbe stato giusto introdurla obbligatoriamente da subito, come in Cina. Adesso non ha più molto senso. Comunque è vero che siamo già tutti tracciati. Mi permetto di suggerire la visione del film “Snowden”, del 2016, che fa capire fino a dove, appunto, ci possono tracciare”…
Come giudichi l’impegno della Polizia di Stato in questa vicenda?
“Noi siamo stati ovviamente in prima linea durante l’emergenza e ne abbiamo viste di tutti i colori. Abbiamo sostenuto una situazione davvero complicata e devo dire che a parte qualche sporadico caso di eccesso di zelo ci siamo comportati tutti benissimo. Una cosa che spesso sfugge al cittadino è che anche noi abbiamo una famiglia. Tra i nostri doveri c’è quello di lasciare a casa i problemi personali, ma non è sempre facile”.
Come cambierà lo stile di vita a Milano? Almeno fino a quando i suoi abitanti saranno costretti a cambiarlo, visto che questa città vive delle sue relazioni, degli incontri che diventano occasioni e progetti e invece per mesi ha dovuto organizzarsi diversamente, con i social network e le video chiamate…
“Questa emergenza ha aperto porte e occasioni inaspettate. Le persone hanno scoperto l’utilizzo di webcam e video chiamate per il lavoro e lo studio. Questo cambierà sicuramente i rapporti interpersonali nei prossimi anni, anche se in molti casi, come quelli degli aperitivi e le cene virtuali, sono secondo me più una moda del momento che uno stile di vita”.
Per chiudere, Ezra: non pensi che come spesso accade, paradossalmente, in situazioni come queste si creino nuove opportunità in tutti gli ambiti, dal sociale al culturale e a quello lavorativo e professionale?
“Il rientro dalle ferie (per chi le ha fatte), a settembre, è stato quasi normale, con negozi ed attività varie che stanno faticosamente riprendendosi. Certo che un nuovo blocco, una eventuale chiusura forzata sarebbe davvero la fine del lavoro per molti. Questa è una grande preoccupazione, visto anche i diversi suicidi che si sono verificati proprio per questa ragione. Siamo arrivati al punto in cui i cittadini italiani tutti non hanno più paura del virus, ma del fallimento, dell’Erario che bussa perché uno non riesce a pagare i servizi, i mutui e via dicendo. L’economia deve ripartire veramente il prima possibile. Io sono un ottimista da sempre e penso che come ci siamo rialzati dopo la Seconda Guerra Mondiale ci rialzeremo anche questa volta. La politica, però, deve darci sul serio una grossa mano”.
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)