Tempo fa, su queste pagine, lo presentai ai lettori come un milanese giramondo impossibile da tenere fermo qui, nella nostra città. Ogni volta, prendere piacevolmente un caffè con lui, che è un caro amico da circa vent’anni, è un’impresa pari a quelle che compie gironzolando per tutto il pianeta. L’occasione, adesso, si presenta perché ha recentemente pubblicato la seconda parte del suo straordinario viaggio in Afghanistan, che narra del suo ritorno in Europa da quella terra così misteriosa, affascinante e lontana. Lorenzo Merlo, 62 anni, giornalista, fotografo, scrittore, viaggiatore, guida alpina, campione e istruttore di windsurf, sposato e padre di due figli, è un uomo intenso, alla costante ricerca della conoscenza e del confronto.
“Sono stati ventitremila chilometri (ritorno incluso) compiuti in auto, da solo”, racconta Lorenzo. “Ed è stato un viaggio nel senso più compiuto del termine; non tanto per i rischi d’incolumità che tutti possono immaginare quando si entra in teatri di guerra e neppure per quando, in mezzo all’Hindu Kush, i militari italiani presenti nel Paese mi hanno fatto arrestare sostenendo fosse un’iniziativa (poi sbugiardata) della polizia afghana. È stato un vero viaggio perché fin dalla sua concezione, avvenuta un anno prima della partenza, l’incertezza si è presa ampi spazi, tanto nella fase organizzativa quanto in quella esecutiva. Il problema era che arrivare a Kabul era solo la metà del progetto; questo si sarebbe infatti concluso con la realizzazione di un libro, che avrebbe raccontato il viaggio e nel contempo avrebbe reso merito alle tre persone che lo avevano ispirato. Queste avevano viaggiato in auto dall’Europa a Kabul negli anni 30 e ‘50 del secolo scorso e avevano poi realizzato altrettanti libri, tanto straordinari quanto sconosciuti in Italia. Il mio viaggio, intitolato “Da Qui A Là – Viaggio verso l’Afghanistan”, ha percorso infatti le loro tracce e ha fotografato i luoghi citati dai tre autori: Annemarie Schwarzenbach (La via per Kabul, Il Saggiatore); Ella Maillart (La via crudele, EDT); Nicolas Bouvier (La polvere del mondo, Diabasis). Dunque, quel verso scritto in corsivo alludeva proprio all’incertezza di arrivare al confine; di entrare in Afghanistan (visto che dall’invasione sovietica della fine degli anni ‘70 mai più nessun occidentale era probabilmente entrato nel Paese con un mezzo personale), di attraversarlo, arrivare a Kabul sano e salvo e riuscire ad uscirne. Se qualsiasi imprevisto avesse interrotto il viaggio non avrei più potuto realizzare il progetto di arrivare a Kabul come i tre autori-guida, né realizzare il libro che volevo. Insomma, o era bianco o nero: tutte le sfumature sarebbero state niente di più che succedanee alla piena bellezza del progetto compiuto”. La prima parte del libro si chiama “Essere Terra – Viaggio verso l’Afghanistan”. Oltre alla narrazione del viaggio, che si è sviluppato attraverso i Balcani, la Turchia e l’Iran, nelle sue pagine si trovano considerazioni storiche sui Paesi attraversati, ma anche geopolitiche e filosofiche, nonché citazioni dai libri ispiratori e di altre pubblicazioni. “È un racconto evocativo più che di reportage”, rivela il viaggiatore milanese. Ognuno potrà dare vita alla propria immaginazione attraverso le mie descrizioni, a volte fotografiche, di paesaggi e persone. Fra l’altro, nel capitolo “Compatrioti” è raccontata la vicenda vissuta con gli “italians”, di come l’interprete del comandante della polizia locale chiamava i veri responsabili dell’arresto”.
E ora, dunque, Il racconto del ritorno in Europa, “Essere Terra – Un viaggio di ricerca”. Dall’Afghanistan all’Italia, attraverso l’Uzbekistan, il Kazakhstan, la Russia, le Repubbliche del Caucaso del Nord, l’Ucraina, la Transnistria, la Moldova, la Romania e nuovamente i Balcani. “Se il primo libro vibra di incertezza, il secondo rivela lo spirito che ha dominato la mia avventura in terra afghana (e non solo), spiega. “Il paesaggio e la strada dominano come sempre da protagonisti una narrazione che come per il primo libro non è mai diaristica né giornalistica. L’intento è di offrire la descrizione di come attraverso le emozioni ho sentito il territorio. Una modalità che non cessa di essere neanche nei confronti delle persone incontrate, così come le culture. Tra le pagine del viaggio, provocate dalle situazioni del momento, emergono come bolle carsiche le righe di considerazioni personali. Sono pensieri dal geopolitico al filosofico, dallo spirituale al magico, nei quali l’umanità degli uomini fa sempre da sfondo; nei quali è celebrata la pari dignità che ognuno pretende per sé al cospetto dell’altro, nei quali non nascondo, prima di tutto a me stesso, le mie contraddizioni, il mio intento, le mie pochezze, i miei limiti”. Nel testo fanno capolino scorci di storia dei Paesi: Uzbekistan (Lago d’Aral), Kazakhstan (Mangghystau, isola di terra onirica), Russia (ex Stalingrado adesso Volgograd, Mamayev Kurgan, Calmucchia buddhista), Daghestan, Cecenia (Grozny, le guerre cecene), Inguscezia, Ossezia del Nord (Strage di Beslan), Crimea (all’epoca ancora territorio ucraino, Balaklava), Ucraina (Odessa), Transnistria (indipendentismo filorusso), Moldova (stato bistrattato), Romania (la finta rivoluzione romena, Ceausescu, la Transfagariana) e Serbia, Croazia, Slovenia, già percorsi peraltro all’andata”.
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)