“Quella che si è venuta a creare è una situazione emblematica di quanto siamo vulnerabili, anche se ci sentiamo i padroni del pianeta”. Roberta Folatti liquida così, con poche, ma precise parole, la drammatica emergenza sanitaria che si è venuta a creare con la mortale diffusione del Coronavirus. Con la mia cara amica e collega valtellinese di nascita, ma milanese di adozione, una chiacchierata ad ampio raggio sulla nostra città non poteva non partire dalla nota dolente di questo periodo. E questo al di là del fatto che non siamo due esperti della materia e nemmeno, in massima parte, i nostri lettori. Fra i tanti giochi dell’infanzia, Roberta prediligeva quello della giornalista ed evidentemente si trattava di una felice predestinazione. “Sì, dirigevo giornali, scrivevo racconti gialli e avevo persino la mia piccola rivendita, destinata ai familiari più o meno stretti, ma con un borsellino generoso”, ricorda sorridendo e sospirando. “Poi il paesello di montagna in cui ho vissuto fino alla fine del liceo ha cominciato ad andarmi stretto e Milano è diventata molto presto la mia inevitabile destinazione. Gli anni un po’ sacrificati dell’adolescenza avevano accumulato dentro di me una riserva inesauribile di curiosità, che ho utilizzato e soddisfatto con grande entusiasmo appena arrivata qui per frequentare l’università. La Milano degli anni ’80 e ’90 è stata la cornice ideale dei miei vent’anni, durante i quali mi sono concessa molte esperienze passionali, tra musica, politica e arte. Una fanzine sul mio cantante preferito, un circolo culturale da gestire, la militanza in un’associazione antimafia. E poi interviste a gruppi musicali underground, tra i quali “Elio e le storie tese”. Tutte filtrate da quell’inclinazione primordiale per la gente della metropoli e le loro storie, per la bellezza della sua composizione multiforme e variegata, per le mille fisionomie di una generazione. Questa città è stata sempre al centro del mio percorso di crescita anche perché rispecchiava, appunto, la mia anima in continuo movimento. E per quanto riguarda le esperienze professionali ho sempre afferrato tutto quello che mi passava davanti, cercando di cambiar spesso e di non specializzarmi. La mia inquietudine mi portava sempre in luoghi inesplorati: quindi, sono passata dalla carta stampata alla televisione, maturando esperienze con SeiMilano (chi se la ricorda?) e poi ancora due anni bellissimi come addetto stampa del gruppo Ds del Comune. Insomma, il mio percorso umano e professionale è stato lungo, variegato e gratificante, ma mi fermo qui perché abbiamo evidenti limiti di spazio e di tempo (e ride)”. Dopo tutte queste esperienze di carattere prevalentemente giornalistico, Roberta Folatti si rimette in gioco in un ambito lavorativo completamente diverso e a contatto diretto con le persone. Da sette anni, infatti, è la coordinatrice di un CAM (Centro di aggregazione del Comune di Milano), lo Scaldasole, nell’omonima via, in zona di Porta Ticinese, dove si occupa di organizzare corsi, eventi culturali, feste, in una relazione continua con i cittadini, in maggioranza di età superiore ai sessant’anni. “Milano è popolata di anziani ancora molto in forma e proiettati sulla città in modo attivo, propositivo”, afferma. “Molte persone che frequentano il Centro di cui sono responsabile si sentono pienamente parte della città e questo è molto bello. Riscontro un grande amore per Milano e una voglia di godere di tutte le opportunità che la nostra metropoli offre.
Il Comune con i Cam (che non sono Centri anziani, ma mirano proprio alla mescolanza fra generazioni) ha creato un bellissimo luogo di incontro, unito alla possibilità di fare cultura. Ho assistito negli anni a una presa di consapevolezza, da parte dei frequentatori, dell’importanza di avere centri così. Penso che Milano debba veramente tenerli da conto e non farli soffocare dalla burocrazia, un rischio che purtroppo è sempre facile correre. In generale, posso dire che dalla mia esperienza ho ricavato un grande rispetto verso una generazione, quella dei settantenni-ottantenni (e anche oltre), che ha ancora molto da dare”.
Facciamo un passo indietro. Tu sei una giornalista che ha maturato diverse esperienze, nel corso della sua vita professionale. Come sta il giornalismo milanese, secondo te?
“Non ho il polso sul giornalismo milanese in particolare, ma quello che posso testimoniare è la presenza in città di persone, anche giornalisti, che fanno cose molto belle attraverso le parole, il racconto, la scrittura teatrale. Milano Meravigliosa è un esempio di questo fermento, di questa voglia di esserci e di dire qualcosa di significativo. Ma davvero c’è molta gente, colta, preparata, motivata, che sorvolando sul discorso economico cerca ostinatamente di portare avanti progetti culturali, di sensibilizzare i cittadini al valore della cultura, nelle sue diverse sfumature. Ecco, penso che il Comune di Milano non faccia abbastanza per valorizzare queste risorse”.
A proposito: tu hai collaborato con Palazzo Marino e anche con la Regione Lombardia. Qual è, a tuo avviso, il livello attuale della politica e della comunicazione pubblica milanese? E quali contributi ha portato, secondo te (se lo ha portato) lo sviluppo dei social network?
“Trovo la politica attuale, anche quella locale, molto staccata dai cittadini. Anche se questa Giunta e soprattutto quella precedente, con a capo Giuliano Pisapia, consultava spesso la popolazione soprattutto a livello di quartieri. Poi si ha la sensazione che le decisioni vengano prese ad altri livelli, oltrepassando le indicazioni delle persone e delle associazioni. E in tutto questo i giovani si disinteressano della cosa pubblica, mentre servirebbe più che mai un loro contributo, anche in termini di innovazione e creatività. Per quanto riguarda i social, per come vengono utilizzati dalla maggioranza dei nostri politici li ritengo un veicolo di disinformazione, mentre avrebbero delle potenzialità enormi, gestendoli con senso di responsabilità e capacità di aggregare su temi importanti”.
Riprendiamo a parlare del tuo rapporto con Milano…
“Il mio amore per Milano è incondizionato, come credo si sia capito da quello che ti ho detto prima. Forse nel giudicarla non sono del tutto obiettiva perché le sarò sempre riconoscente per tutto quello che mi ha dato. Quando sono arrivata qui mi sono sentita subito a casa. La città rispecchiava la mia personalità aperta e accogliente, ho sempre pensato che chi la giudicava fredda avesse dei pregiudizi o non fosse capace di abbandonarsi ai suoi ritmi vitali. Il difficilissimo momento che stiamo vivendo impone sicuramente una frenata a tutti e in tutti i settori, ma per com’è fatta Milano sono sicura che la ripartenza non si farà attendere. Recentemente ho visto le immagini della città degli anni ’70, quando era in ostaggio della lotta politica e del terrorismo. Io ero una bambina e vivevo in montagna, ma poi diventando adulta ho capito che anche in quella situazione i milanesi hanno saputo reagire e cambiare verso”.
Dall’Expo in poi a Milano è migliorata ulteriormente l’offerta culturale ed è letteralmente esplosa quella turistica. Per contro, secondo me, è peggiorato il tessuto sociale: complice anche la crisi economica che continua a mordere, risulta schiacciato verso il basso. Qual è la tua opinione?
“La mia principale preoccupazione sono i prezzi delle case e degli affitti, il fatto che siano sempre di più le case riconvertite a B&B. Da un lato è un segnale turistico e commerciale positivo, ma dall’altro significa che chi lavora e studia venendo da un’altra città e i giovani che vorrebbero andare a vivere da soli o mettere su famiglia trovano sempre maggiori difficoltà a risiedere a qui. Per una città che è sempre stata aperta e che è progredita con l’apporto di gente di ogni provenienza equivale a un grande impoverimento. Anche il trasferimento ormai deciso delle varie branche universitarie da Città Studi a Rho, proprio nell’area dell’ex Esposizione Universale, lo considero controproducente per un quartiere che metteva insieme studenti, abitanti e docenti, creando un’atmosfera molto vivace e stimolante”.
Un’ultima domanda, Roberta. Il 2020, a Milano, è “L’Anno della Donna”. Ritieni Milano una città, appunto, a misura di donna? Ambiti come la cultura, la sicurezza e il lavoro privilegiano la condizione femminile?
“Credo che ci sia ancora molta strada da percorrere, anche se Milano in Italia è sicuramente un grande punto di riferimento. Sarà un’affermazione banale, ma dove c’è una presenza femminile c’è uno stimolo in più, ci sono idee in fermentazione, c’è la volontà di far bene e una forte, fortissima determinazione”.
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)