Scatta immagini da quando aveva soltanto cinque anni e cominciava ad armeggiare con una piccola macchina fotografica. Oggi è una fotografa stimata e apprezzata e soprattutto molto innamorata della sua Milano. Elisabetta Pina, giornalista professionista milanese, una Laurea in Scienze Politiche, ha maturato esperienze significative nelle redazioni dei mensili di lifestyle, lusso, salute, design, beauty (Viaggi In Benessere, High Level, Elle, Glamour, Vogue Sposa, Monsieur, Spirito di Vino, Costi di Casa, Cucinando), e dei settimanali familiari (Novella 2000, Vero). Tre anni fa ha iniziato a occuparsi di social media strategy per grandi chef, aziende e case editrici e a scrivere per il web (West-info.eu, vanityfair.it, milanodabere.it). E dal 2018, infine, ha creato la società Fattore K Lab, insieme all’amica e collega Chiara Dalla Tomasina.
Cara Elisabetta, durante la quarantena hai ideato un nuovo progetto editoriale per raccontare Milano da una prospettiva insolita. Ce ne vuoi parlare?
“A gennaio 2019 ho esposto un lavoro fotografico su Milano, in particolare sul quartiere di Mac Mahon. Una zona non certo tra le più glamour della città, ma che ha milioni di storie da raccontare e molto da far scoprire. Come molte altre zone cittadine sta cambiando molto; fino a dieci anni fa, era considerata quasi periferia o comunque un quartiere prettamente residenziale con poco appeal per turisti e giovani interessati all’arte e alla cultura. La mostra, che si è tenuta prima negli spazi multifunzione dell’Hubbastanza, sempre in via Mac Mahon, e poi fino alla fine di marzo 2019 nel bistrot del Teatro Out Off, mi ha fatto pensare di sviluppare il progetto anche su altri quartieri e trasformarlo in un contenitore per far conoscere la città da aspetti insoliti. Durante la quarantena ho avuto tempo e modo di metterci la testa e come primo passo ho deciso di provare a produrre (attraverso una piattaforma di crowdfunding) Somewhere in Milan, un libro digitale fotografico (un e-book, con uno studio di grafica già selezionato) per raccontare la città vuota, ma anche una Milano da riscoprire, piano piano, dopo questi mesi chiusi in casa”.
Cos’hai scoperto della nostra città che non avevi ancora visto e fotografato?
La città vuota è qualcosa di unico e oserei dire irripetibile. Milano, come tutte le metropoli del mondo, si è trovata di punto in bianco ferma e senz’anima viva in giro. Quando ero piccola, per caso vidi un film con Walter Chiari (Noi due soli, del 1952) che vagava per le strade di una Roma improvvisamente deserta. Fu qualcosa che mi colpì molto, mi angosciò. Girare per le vie del mio quartiere vuote con i negozi chiusi, senza i rumori e gli odori che conoscevo, è stato estraniante e mi ha fatto pensare proprio a quel film e dire, fra me e me: non è vero, non è possibile. Vedere come in poche settimane la città può cambiare volto, nel bene e nel male, è stato istruttivo. Zero inquinamento, il cinguettio degli uccelli in mezzo a Corso Sempione, il silenzio, ma anche ubriachi a terra, la gente in fila davanti ai supermercati, l’ansia negli occhi delle persone, l’incertezza che si respirava. Insomma, era meglio stare a casa. Io vivo vicino a Chinatown e vedere via Paolo Sarpi, che di solito brulica di gente, vuota e silenziosa, mi ha fatto scattare in bianco e nero contrasti forti, drammatici. Perché era quello che sentivo”.
Come vedi oggi la situazione milanese?
Vedo che i milanesi non mollano. Si alza la testa e si continua. Alla fine, per ora, mi pare che le cose si stiano riprendendo. Certo, i danni sono tanti. E ancora ci si lecca le ferite”.
Tu come ti sei organizzata? Com’è cambiato il tuo lavoro?
“Ho continuato il mio lavoro di giornalista e di social media manager dallo studio di casa. È stato un modo per ritrovare i miei tempi e i miei spazi e in tutta onestà anche di avere un rapporto con il lavoro e i colleghi più sereno e fluido. Strano a dirsi, però per me è stato così”.
Non pensi che come spesso accade, paradossalmente, in situazioni come queste si creino nuove opportunità?
Assolutamente sì. In ogni crisi c’è sempre una grande opportunità. Bisogna saperla cogliere, però”…
Per chiudere, Elisabetta: come vedi il futuro più immediato del tuo settore, qui a Milano?
Non so darti una risposta. Mi auguro che tutto riprenda, meglio di prima, con nuovi slanci, nuovi progetti e con la consapevolezza di quello che è accaduto e che non va assolutamente dimenticato, nel rispetto soprattutto delle vittime di questa pandemia. È un’occasione per vivere e lavorare in un modo migliore”.
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)
IL PROGETTO IN CROWDFUNDING DI SOMEWHERE IN MILAN